Wisconsin Abruzzo
Flavio si addormenta pensando che domani lui e Zoe staranno bene. Non è cattiva, Zoe. Solo che a volte non si sa regolare
Zoe, piercing al naso, apre la porta della roulotte. Fuori c’è la neve: la radura, gli abeti, le loro sedie, sono bianchi di neve. Zoe sorride, ha 33 anni, ha vissuto per mezza Europa, ma non ha perso la sua freschezza. Urla come un’adolescente:
La neve! C’è la neve!
Flavio, seduto sul letto in canottiera e mutande, la guarda. Come la guarderebbe un padre. Flavio ha quasi il doppio degli anni di lei. Zoe si volta verso di lui, in un attimo indossa la giacca a vento:
Vieni, c’è la neve, la vedi?
Che ti aspettavi? E’ novembre e siamo sugli Appennini.
Flavio continua a meravigliarsi che lei sia qua con lui. Un vecchio dai capelli lunghi e bianchi che vive in una roulotte e si guadagna la sussistenza tagliando la legna. Ormai sono due anni che Zoe vive con lui, qua isolati dal mondo, circondati dalla foresta. Lui la protegge, Flavio è stato veloce a capire che a Zoe piace più dimenticare che ricordare e quando questo l’abbia fatta diventare forte e matura presto. Forse è per questo che sta con lui, un Jack London mancato che ha terminato la sua epoca di avventure e non è ancora morto. Le rughe attorno agli occhi azzurri di Flavio si strizzano, mentre si alza dal letto, indossa la sua giacca a vento rossa stinta e si avvicina a lei. Nella roulotte, attaccati con il nastro adesivo alle pareti, ci sono i suoi fogli scritti a mano, Zoe ha sempre detto che lui ha una bella calligrafia e lei è l’unica ad aver apprezzato fino in fondo i suoi versi, le sue riflessioni, i suoi personaggi abbandonati a metà per pigrizia o mancanza di tempo. Flavio le mette una mano sui fianchi, la stringe con il suo braccio vigoroso da taglialegna. Guarda la neve assieme a lei. E’ così bianca. A Zoe, in fondo, basta questo.
Gli sorride, Zoe, prima di uscire di scatto dalla roulotte:
Vieni a prendermi!
Flavio, sorpreso, resta sulla soglia, si mette i pantaloni, le scarpe. Zoe saltella sulla neve, i piedi sprofondano ogni volta una decina di centimetri, il terreno sembra un groviera, ma sul suo volto c’è posto solo per sorridere, lo chiama di nuovo:
Muoviti, dai!
Arrivo, un attimo…
Zoe mette le mani nella neve, forma una pallina e gliela tira addosso. Ma prende solo lo stipite della porta. Flavio le mostra il dito indice, poi esce fuori simulando una voce da orco:
Vengo a prenderti, brutta troietta!
Zoe si allontana gridando felice e un po’ pazza. Flavio prende della neve, fa una palla e prova a colpirla, ma Zoe la schiva, ride, Flavio ci riprova, ma Zoe ha i riflessi perfetti, allora lui corre verso di lei, o meglio zampetta rapido in modo ridicolo per non scivolare. Zoe si nasconde dietro un albero, sono al limite della foresta, gli abeti potati sembrano pali neri conficcati in un oceano di bianco, sembra di essere in Wisconsin, o in Minnesota, ma in realtà sono in Abruzzo. Zoe si lascia raggiungere, i loro volti vicini circondati dalla neve, Zoe lo bacia, forte, come volesse spaccargli le labbra, spezzargli la lingua. Poi si stacca, lo guarda fisso negli occhi. Flavio mette su la sua migliore espressione, quella che tiene da parte solo per i momenti che vale la pena ricordare. I loro volti rossi per il freddo. Zoe si piega, prende una manciata di neve e gliela spiaccica in faccia. Flavio sputacchia la neve, resta allegro. Zoe, invece, lo fissa seria:
Sdraiati con me.
Zoe si mette seduta, va indietro con la schiena fino a sentire il gelo della neve sotto i vestiti, Flavio si distende su di lei. Anche se si sta lasciando crescere la barba, non può nascondere le rughe sul volto che gli conferiscono un’espressione grave qualsiasi cosa stia facendo o pensando. Flavio nota che anche sul viso di Zoe, nonostante tutto, stanno apparendo i primi segnali del passo del tempo. Flavio pensa che la fanno sembrare più reale. La bacia. Zoe è intensa. Si baciano di nuovo, mentre le loro mani lavorano a sganciare pantaloni e si apprestano a fare sesso. Là, nel freddo e nella neve. Nella loro foresta.
Flavio toglie il cazzo giusto in tempo: lo sperma caldo schizza e scioglie la neve appena la tocca. Si rivestono in fretta, si rialzano, è troppo freddo per godersi il dopo orgasmo, anche se Zoe se lo sente dentro, come un’ondata di vitalità che la tiene accesa e su di giri. Flavio invece è più lento. Ma è felice. Tossisce, si passa una mano tra i capelli bianchi per ravvivarli.
Perché non te li colori di biondo?
Ma dai…
Sì, perché no?
Perché non voglio somigliare a Trump.
Zoe sorride, scuote la testa. Lo guarda un po’.
Credo che somiglieresti di più a Terence Hill.
E te lo scoperesti?
Sì, perché no?
Ma dai, anche ora che è vecchio?
Se scopo te…
Ma è chiaro che lo sta solo sfottendo. Flavio non se la prende. Tornano verso la roulotte. I loro passi affondano nella neve fresca.
Mi porti in paese stasera?
Dovrò mettere le catene.
E se ti tolgo la neve dalla macchina?
Ci sto.
Zoe entra dentro e va in bagno. Flavio resta fuori, sotto la tettoia davanti, butta uno sguardo desolato alla sua Punto nera ricoperta di neve che, dopo oltre venti anni, continua ancora a funzionare.
Flavio apre la bombola del gas, accende il fornello da campeggio. La caffettiera preparata dalla sera prima inizia a riscaldarsi, mentre lui si mette a sedere su una delle due sedie di plastica bianca accanto al tavolo. Apre uno dei barattoli, prende una cartina e dell’erba. Si rolla una canna. E’ una bella mattina, pensa, mentre aspira il primo tiro.
Dentro la roulotte, Zoe scorre il dito sui libri polverosi di Flavio: sono vecchi, già usati prima che lui li comprasse, Flavio ha sempre avuto questa passione fin da giovane. Hanno un’aurea speciale, i libri usati, dice sempre. Un sapore. Zoe prende “Trilobiti” di Breece Pancake. Una pagina ingiallita si stacca appena lo apre, Zoe la rimette dentro con cura. Lo sfoglia, ci sono annotati i pensieri di Flavio sulla maggior parte delle pagine. Per Zoe sono più importanti quelle poche parole scarabocchiate che quelle stampate. Si sdraia sul letto e si mette a leggere il primo racconto, mentre ogni tanto guarda fuori dalla finestra dove Flavio sta spezzettando con l’accetta in parti più piccole la legna appena tagliata. Lo vede fermarsi, togliersi il berretto di lana e asciugarsi il sudore con lo straccio che gli pende fuori dalla tasca della giacca a vento. Guarda in direzione della roulotte, ma i vetri oscurati gli impediscono di vedere dentro Zoe che lo sta guardando. Flavio si sente più affaticato del previsto oggi, pensa che forse è stata la scopata mattutina oppure che ha lavorato troppo nei giorni precedenti. Ma si rimette il berretto e riprende a tagliare i rami, raccoglierli, riunirli in fascine, accatastarli vicino alla roulotte in due gruppi differenti: da una parte i tronchetti, dall’altra i rami. Ha una consegna importante di legna da ardere per il fine settimana e gli daranno i soldi necessari a tirare avanti quasi fino a fine inverno. Poi, finalmente, si potrà rilassare. Stare con Zoe, leggere, ascoltare la musica, fare escursioni per i boschi immerso nei propri pensieri, fumare della buona erba davanti al tramonto, cose così. Da giovane pensava di essere un uomo complicato, invece, alla fine si è rivelato un uomo semplice anche lui.
Zoe, sul collo, porta tatuata la scritta “Fantàsia” in caratteri gotici. Se l’è fatta anni fa affinché non smetta di rifugiarsi nel mondo dell’immaginazione, affinché non vinca il nulla. Flavio le guarda il tatuaggio, adesso, al bar, mentre lei si volta verso il bancone di legno per prendere la sua birra. Zoe è una buona bevitrice, con il primo sorso già sparisce il primo terzo della pinta. Flavio butta giù un bel sorso anche lui. Zoe lo guarda, Flavio non è più come questa mattina.
Cos’hai?
Se non ti andava di venire, potevi dirlo…
No, non è per quello.
Si vede che hai qualcosa.
E’ un pensiero stupido, tutto qua.
Beh, buttalo fuori lo stesso…
Zoe aspetta, Flavio butta giù un altro sorso di birra. Fa spallucce:
Pensavo che nessuno parlerà di me quando morirò.
Zoe lo fissa seria. Flavio muove la mano in aria come a voler scacciare via quello che ha appena detto:
Non era importante, te l’avevo detto. Un pensiero narcisistico.
Lo farò io.
Flavio le mette una mano sulla sua.
Senti, non voglio parlare di questo va bene?
Ma Zoe è ostinata.
Lo farò io, parlerò io di te.
Flavio fa una smorfia, come fa sempre quando non vuole parlare di qualcosa ma ne è costretto.
E piano piano dimenticherai. Come è giusto che sia.
Ma come fai a parlare così?
Quando io morirò, sarà finito. Semplice. E non sarà un problema per nessuno. Non te ne vorrò, è la vita…
Gli occhi di Zoe faticano a trattenere le lacrime, sposta lo sguardo lontano da Flavio per non piangere. Guarda i due uomini appoggiati a bere dall’altra parte del bancone. Sembrano amici da una vita, o fratelli, si somigliano un po’. Zoe pensa che forse loro non resteranno soli, qualcuno li ricorderà, parlerà di loro, metterà fiori sulle loro tombe. Zoe vuole piangere perché anche lei resterà sola. Svanirà come il mondo di “Fantàsia” ne “La storia infinita”. Del suo essere speciale nessuno parlerà. Come se non fosse mai esistita. Afferra il bicchiere di birra e beve presa da una rabbia sorda. La rabbia cancella il pianto, è sempre stato così per lei. Affoga nella birra il suo sgretolarsi. Come ha fatto altre volte e come molte altre farà. E chissenefrega se domani la vescica le brucerà da impazzire per colpa della cistite. Oggi, d’improvviso, è diventato giorno di bere.
Dammene un’altra.
Il barista le fa un cenno con la testa e le prende il bicchiere. Zoe resta a fissare il bancone. Flavio ha capito come andrà e finisce di bere anche lui. Impaziente.
Un’altra anche per me, grazie.
Entrambi fissano il bancone. Mentre due nuove birre gli scivolano davanti. Zoe prende la sua e beve:
La prossima volta, tieniti le cazzate dentro.
Sei tu che hai insistito.
Bevono, non si parlano. D’improvviso sono due estranei.
I fari della Punto nera illuminano la roulotte. Zoe e Flavio scendono dall’auto. Sono ubriachi, hanno percorso i dieci chilometri che li separano dal paese quasi a passo d’uomo. Zoe sbatte contro la porta chiusa della roulotte, ci si deve appoggiare per riuscire a tirare fuori le chiavi e aprire. La neve ovatta qualsiasi rumore, la luce lunare illumina abbastanza bene le cose. Flavio, con le mani in tasca, ondeggia appena sul posto, entra dentro dopo di lei. Zoe accende la luce, si butta sul letto vestita come le piace fare quando è davvero ubriaca. Flavio, un po’ meno ubriaco di lei, la guarda mentre inizia a spogliarsi. Già dorme. Le fa tenerezza nonostante abbiano litigato. Flavio ha un’ancora tatuata sul bicipite destro. Semplice e inverdita dal tempo. A Zoe ha sempre fatto sorridere quel tatuaggio in lui, perché è così scontato e assurdo per uno che ha sempre vissuto lontano dal mare. Quasi stupido. Ma a lui, quando aveva vent’anni, piaceva. Lo faceva sentire figo averlo. E non se ne è mai vergognato. Anche se, forse, adesso, un po’ stupido sembra pure a lui. Flavio, in mutande e canottiera di lana, entra dentro al sacco a pelo, poi apre quello di Zoe e ce la lascia rotolare dentro con cura. Zoe scrolla un attimo la testa percorsa da un brivido del sonno, ma non si sveglia. Flavio mette su una cassetta nel suo walkman, si mette le cuffie, suona “Marianne” dei Sisters of Mercy. Flavio si addormenta pensando che domani lui e Zoe staranno bene. Non è cattiva, Zoe. Solo che a volte non si sa regolare.
La luce dell’alba rischiara l’interno della roulotte. Zoe mugola ancora nel sonno, ha la gola secca, ha una sete tremenda, con la mano cerca il corpo di Flavio per abbracciarlo. Lo trova, lo tira verso di sé. Ma il corpo di Flavio non oppone resistenza. Zoe si volta, apre gli occhi, lo vede là immobile a bocca aperta, gli occhi chiusi, le cuffie ancora messe. Zoe avvicina il volto alla sua faccia, lo scuote. Flavio non si sveglia. Lo scuote più forte. E’ un corpo inerte.
Oh, non fare scherzi del cazzo…
Zoe si mette seduta sul letto, preoccupata, lo scuote più forte che può. La testa di Flavio sballotta priva di vita a destra e sinistra, gli cadono le cuffie. Zoe smette di scuoterlo, gli mette due dita attorno al collo, niente pulsazioni, è freddo. Zoe tira su le gambe, si rannicchia contro le ginocchia. Non guarda, non vuol pensare. Non sente neanche più la sete. La luce dell’alba è diventata la luce della mattina e Zoe non ha cambiato posizione.
Si alza, Zoe, cammina fino alla dispensa, si attacca alla bottiglia dell’acqua e la finisce. Va ad aprire la porta della roulotte. La neve non è andata via. Sorride, si volta verso Flavio:
C’è ancora la neve, guarda!
Flavio non risponde, tiene gli occhi chiusi. Zoe indossa la giacca a vento, esce fuori, raccoglie una manciata di neve e torna dentro. Va verso il letto, l’avvicina a Flavio. Lo carezza con le mani di neve. Con un amore infinito. Gli apre le palpebre, gli chiude la bocca e si sdraia accanto a lui, gli mette di nuovo le cuffie e cambia il lato alla cassetta. Alza un po’ il volume, in modo che anche lei possa sentirla. Ci sono i Cocteau Twins adesso. Zoe, distesa sul letto, guarda il soffitto della roulotte come se non fosse successo niente.
Un getto di caffè schizza fuori dalla caffettiera, macchia di nero la superficie bianca del fornello da campeggio. Zoe arriva in fretta e spegne la fiamma. Versa il caffè fumante metà in una tazzina e metà in un’altra. Beve il caffè guardando la neve. Continua ad essere immacolata e silenziosa. Il fumo esce dalla bocca di Zoe ad ogni respiro. Finisce il caffè, prende l’altra tazzina e rientra dentro la roulotte. Il cadavere di Flavio inizia ad avere delle macchie viola pallido su braccia e collo, sembra rilassato. Zoe si sdraia di nuovo accanto a lui, stoppa la musica, gli toglie le cuffie. Finisce il caffè, butta la tazzina per terra. La tazzina si rompe. Zoe tira su Flavio, lo mette seduto. Gli ravviva i capelli spiaccicati, gli distende un po’ la pelle del volto. E si mette seduta accanto a lui tenendolo per mano. Sembrano due statue. Zoe guarda avanti a sé e anche Flavio. Poi Zoe si sgancia i jeans con la mano libera, se li abbassa, si abbassa le mutande. Prende la mano di Flavio e se la mette sulla fica. Inizia a masturbarsi con la mano di lui. In modo meccanico, senza guardarlo, quasi senza godere, fino a che, con paio di respiri più intensi, raggiunge l’orgasmo e si ferma. Mette la testa sulle cosce di lui, si sposta addosso la mano di Flavio per farsi abbracciare e chiude gli occhi.
Zoe apre gli occhi, ha dormito fino al pomeriggio. Si tira su mutande e jeans e va in bagno a pisciare. Si lava i denti, Zoe, il volto. In ogni cosa che fa c’è una freddezza controllata. Flavio continua ad aspettarla seduto sul letto nella stessa posizione innaturale da rigor mortis. Zoe apre il frigo, si stappa una birra. Poi apre la dispensa e prende un paio di lattine di tonno. Le apre e, in piedi, inizia a mangiare. Sbadiglia, Zoe. Riprende a mangiare. Forchettate di tonno spariscono rapide nella sua bocca. Finisce la birra e ne stappa un’altra. Finisce il tonno. Va verso lo scaffale con la bottiglia di birra in mano, prende “Rock Springs” di Richard Ford, lo sfoglia, legge qualche riga stando in piedi, non è convinta, lo richiude e sceglie “Poesie e racconti” di Dylan Thomas. Torna da Flavio, si sdraia a pancia sotto e inizia a leggere i versi di Dylan Thomas a voce alta. La voce di Zoe sconfigge il silenzio. Continua a leggere per molto tempo, Zoe. Fino a che la luce è così scarsa che non può più.
Zoe posa il libro e tira giù Flavio, lo fa scivolare nel sacco a pelo. Lo abbraccia forte. Si aggrappa a lui con quello che le resta di forze. Resta così, ad occhi aperti, ad aspettare la notte vera. E, di tanto in tanto, trema.
Al mattino il cadavere di Flavio ha un colore tendente al verde, ma sembra solo essere assorto in un sonno ad occhi aperti. Zoe apre i suoi occhi gonfi, vede il volto di Flavio e lo bacia. E’ freddo, rigido. Gli infila la lingua in bocca, Zoe, gli preme la testa contro la sua. Forte come piace fare a lei. E poi si alza. Sbadigliando va ad aprire la porta della roulotte. Il gelo del mattino le fa serrare le labbra e corrugare la fronte. Indossa la sua giacca a vento e il berretto di lana di Flavio. Prende la sega e si attacca l’accetta alla cintura dei jeans, esce fuori.
Zoe cammina verso il bosco, tra giacca a vento e berretto le restano fuori solo gli occhi e un pezzo di naso, la pelle si arrossa quasi subito per il vento gelato. I passi di Zoe affondano per almeno 15 centimetri, oggi. I primi abeti li ha già tagliati Flavio, con cura ed esperienza, rispetto, quasi non li volesse ferire. Zoe si inoltra ancora nel bosco, arriva a quelli da tagliare. Si ferma un attimo. Non sa da dove iniziare e non vuole iniziare, ma deve farlo. Sega il primo ramo, a caso. Il legno è più resistente del previsto, ma lei è tenace. Sega fino a che il ramo non cade sulla neve con un tonfo ovattato. Afferra un secondo ramo, e lo sega. Sega il terzo ramo, il quarto, il quinto. Lo sguardo di Zoe è deciso, cupo. In poco tempo ha creato il suo primo obbrobrio. Cammina verso il secondo abete e inizia a segare. Sega tutti i rami ai quali riesce ad arrivare. Non è una questione di rabbia, ma di ostinazione. Zoe cammina fino al terzo albero e sega i rami, di nuovo, come fosse una macchina. In un paio di ore quindici abeti sono rimasti potati a metà: sembrano ombrelloni da spiaggia invece che alberi, fanno pena. Zoe è sudata, paonazza, gli occhi sono così rossi per il vento che quasi le sanguinano. Per terra ci sono i rami lasciati là dove sono caduti. Si toglie la giacca a vento, Zoe guarda gli alberi: una foresta di mostri. Butta la sega a terra e, con l’accetta, si accanisce contro il primo. Colpisce forte, dritta al tronco. Colpisce, colpisce e colpisce. Il legno si scheggia, non geme, si spezza. Il primo albero è già caduto. Zoe si avventa contro il secondo. Colpisce con l’accetta, si sforza di colpire sempre nello stesso punto. La ferita nel tronco dell’albero diventa sempre più profonda. Suda ancora, Zoe, fino a che anche il secondo albero cade, ma non tocca il suolo, resta impigliato tra altri due. Zoe attacca il terzo, ma non ce la fa. Riesce a dare solo uno, due colpi. Lo ha scheggiato soltanto, si arrende. E’ esausta, le fanno male le braccia, quasi non riesce più a muoverle. Ansima per la fatica. Resta a fissare l’albero ferito, poi alza la testa per guardare il cielo. E’ limpido. Ma delle nuvole scure stanno arrivando da nord.
Nel pomeriggio il cielo è cupo e gravido. L’oscurità avvolge la roulotte dove Zoe è chiusa. Nevica intensamente, con vento di Tramontana. Nella finestra c’è il volto di Zoe che guarda fuori la tempesta di neve. Ascolta il rumore della natura, fissa i fiocchi di neve cadere giù spinti dal vento mentre lo sente sibilare tra gli spifferi della roulotte. Non ha paura, non ha emozione, Zoe, solo guarda, con i suoi occhi verdi e assenti, come potrebbe guardare un mondo di cui non fa parte.
La tempesta si fa sempre più forte, fa vibrare la porta della roulotte e le pareti. Chiude le tendine, Zoe, attraversa quella penombra che conosce bene in cerca degli altoparlanti da computer. Li trova in una scatola di plastica insieme ad altri cavi e caricabatterie. Li prende e li collega allo walkman di Flavio. Con la musica, adesso, c’è posto solo per lei e per lui. E, sensualmente, inizia a ballare per lui. Al suono della musica dark, di quegli anni ’80 che si dividevano schizofrenici tra rabbia contro se stessi e esplosione falsa di vitalità per dimenticare quella rabbia. La rabbia di chi non ha contro chi ha. Zoe balla, le mani riempiono lo spazio, le ginocchia si flettono facendo oscillare le cosce, Zoe balla e sa di cocaina, feste, tatuaggi, rave, case occupate, notti furiose, pericoli nei vicoli, autostrade ubriache. Zoe balla senza cintura di sicurezza, come ha sempre fatto, è nata così, ha vissuto così, e balla per il corpo morto di Flavio, per non accettare la sua morte, per non essere la sua morte, balla per tenerlo vivo, sapendo che più ballerà e più lui resterà vivo. Balla sperando che la morte sia solo uno stato mentale, balla perché si sente esplodere e non vuole esplodere, mentre la tempesta diventa sempre più forte, come lei, come il suo ballo disperato, crudo e tetro come la notte che li avvolge.
Quando Zoe smette di ballare, la roulotte è un cumulo di spifferi. La musica è finita e il vento grida attraverso ogni fessura. Zoe si spoglia, resta nuda, sudata, il suo corpo magro pieno di tatuaggi, la sua storia la porta tatuata sul corpo, Zoe. Si distende sul ventre gelido di Flavio, lo carezza, gli toglie la canottiera, lo fa scivolare sotto di lei, mentre continua a baciarlo e leccarlo come se fosse vivo, gli spinge la testa sotto la sua fica, il volto, il naso, inizia a strusciarglisi contro, le grandi labbra che si aprono, seguite dalle piccole, lo bagna con i sui umori, gli scopa la faccia non potendo scopare altro, lo riempie del suo bisogno di lui. Un bisogno incommensurabile. E, gode. Zoe gode. Gode. Zoe, in quel momento, è irraggiungibile, più di quando balla, più di quando pensa, più di quando legge. Zoe è viva, in quel momento, viva senza cintura di sicurezza. Prima di tornare giù, avvinghiata a lui, due corpi così diversi. Uno giovane, uno vecchio, uno magro, uno robusto, uno vivo, uno morto. Gli nasconde il volto tra i capelli, Zoe, vuole sparire. Vuole non essere. Vuole svegliarsi. Ma non è possibile. Flavio è la sua “Fantàsia”.
Al mattino la bufera di neve è passata. Bussano insistentemente alla porta della roulotte, svegliano Zoe, i colpi non le danno pace. Zoe si alza, indossa la giacca a vento, cammina con passi assonnati fino alla porta dalla quale continuano a provenire i colpi. Zoe socchiude la porta. C’è un uomo in giacca a vento e berretto colorato da sciatore. Un uomo sui cinquant’anni con barba bianca. L’uomo guarda Zoe.
Dov’è Flavio?
Zoe guarda l’uomo ma non risponde. L’uomo, un po’ in imbarazzo di fronte alle gambe nude di Zoe, si guarda attorno, non vede Flavio, chiede di nuovo:
Dov’è Flavio? Deve darmi la legna.
Zoe continua a fissare l’uomo. Le pupille di Zoe stanno affogando dentro lacrime che non scendono. Poi, improvvisamente, le scende una lacrima dall’occhio sinistro. Poi un’altra dall’occhio destro. E infine vengono giù tutte. Un pianto cupo, rotto, che sa di freddo e neve, un pianto di quelli che fanno diventare piccoli, minuscoli, invisibili rispetto all’incontrollabilità degli eventi. Flavio non c’è più, Flavio è morto ma voglio che resti qui, qui con me, ma Zoe è incapace di dirlo, può solo pensarlo. E sgretolarsi pezzo dopo pezzo ad ogni lacrima. E odiare. Come se il colpevole fosse quell’uomo che le sta davanti.
Racconto pubblicato sulla rivista Tina #35

Adriano Giotti (1984) vive a Roma. Master alla Scuola Holden.
Il suo corto Mostri era in cinquina ai David di Donatello. Il suo film Sex Cowboys ha vinto Miglior Film Italiano al RIFF.
I suoi racconti sono stati pubblicati su: Pastrengo, Voce del Verbo, Eisordi, ‘Tina, Neutopia, Narrandom, Crack, Risme, Digressioni, Piegami, L’Irrequieto, Spore.