Scarafaggi
Una fila di scarafaggi in parata lungo il muro, e due anime addormentate l’una accanto all’altra. Respirano in sincrono, si proteggono a vicenda, nessun turbamento può insidiarle, per quanto minaccioso possa sembrare.
L’afa dei giorni non dava tregua nemmeno la sera. Un caldo pesante ti si appiccicava addosso. Lo stesso identico di ogni agosto, sebbene i telegiornali lo avessero definito il più caldo degli ultimi sessanta anni. Nelle ore che trascorrevo in ufficio, i condizionatori erano settati al massimo e rischiavi una bronchite. Quando invece rientravi, a casa, la sera, se non possedevi anche solo un ventilatore a pedana, passavi il tempo a boccheggiare, con un’espressione da triglia.
Io e Anna stavamo insieme da un anno. Mi era passata accanto in un ristorante del centro, mentre cenavo con Giorgio. Eravamo la tipica coppia annoiata che, seduta allo stesso tavolo, non ha nulla di che argomentare, se non i litigi dei nostri amici, il prezzo troppo caro del finto giapponese che ha appena aperto in centro, le camicie bianche che “Camilla! Le hai messe in lavatrice con il tuo vestito blu!”.
Giorgio era bello. Alto, capelli corti biondo chiaro, occhi grigi, mascella importante, spalle larghe, camminata sicura.
Anche Anna era bella. Alta all’incirca come me, capelli lunghi neri, mossi, occhi verdi, magrissima. La volta in cui me ne innamorai, indossava un vestito lungo rosso, la schiena in mostra, libera dal reggiseno. A differenza di Giorgio, che aveva sempre l’espressione imbronciata, un sorriso enorme le adornava il viso.
Io sono quella che sono. Né magra, né grassa, né bella, né brutta. A volte imbronciata, a volte sorridente. Ah sì, ho un seno enorme. Per quel che possa valere. Un seno che ho sempre odiato, e che evito di evidenziare con scollature e magliette aderenti.
Quella sera io e Anna eravamo dirette a Cunardo, alla sagra della patata. Si avvicinò a me, con un paio di shorts e una canottiera sottile rosa, mentre ero in relax sul divano. I capelli profumavano di pulito. Aveva pochissimo trucco. Io avevo una coda di cavallo abbastanza lunga. La metà dei capelli imbionditi dalla tinta e dal sole. Una canottiera nera e un paio di jeans lunghi. La mia pelle era incollata al bracciolo.
– Non ti cambi Camilla?
– A che scopo? Tanto adesso ci ritroveremo di nuovo umide e puzzeremo di fritto.
– Come preferisci tu – mi sorrise – allora sei pronta?
– Dammi due minuti. Metto mascara e rossetto e andiamo.
Pregustavo la dolcezza dello strudel di patate e speck, la sofficità degli gnocchi al gorgonzola, la croccantezza delle frittelle dolci di patate. Il ricordo dei sapori di quelle leccornie, vaporizzava l’afa, che sembrava costringere in una morsa la testa.
Giunte in prossimità della sagra, la coda di gente che attendeva il proprio turno era infinita. Le persone sbucavano a piedi da ogni dove, mentre noi parevamo girare a zonzo. Dopo aver fatto quattro giri alla ricerca di un parcheggio, optammo per un panino al chioschetto del kebabbaro e tornammo a casa.
Tolte le scarpe, Anna si diresse in cucina e si versò un amaro. Io andai a fare una doccia. Cercai di dare il maggior refrigerio possibile alla pelle. Mi asciugai. Tamponai i capelli con un asciugamano e, senza mettermi addosso alcun indumento, raggiunsi Anna in camera. Anche lei era nuda. Ci buttammo sul letto. Estenuate. I nostri sguardi languidi si volsero per un attimo al muro di fronte. Degli scarafaggi neri percorrevano la parete, da sinistra, verso destra. Erano quattro, o forse cinque.
– Camilla dobbiamo ucciderli – disse Anna, con un filo di voce, senza alzarsi dal letto.
– Lasciamoli lì… non ci stanno facendo nulla.
– Ma dobbiamo dormire. Non voglio ritrovarmi cosparsa di scarafaggi…
– Dormiamo venti minuti per uno – le proposi – venti minuti bastano a rigenerarti. Mentre una dorme, l’altra resta sveglia e controlla che non vengano addosso a noi.
– Chi inizia?
– Tu. Inizia pure a dormire. Punto la sveglia.
Anna si lasciò trasportare dal sonno.
Fissai la parete davanti a noi. Mi sembrò che, nell’angolino in fondo a sinistra ci fosse una macchia nera. Strinsi un po’ gli occhi. Misi a fuoco. C’era un buco pieno di blattoidei che litigavano tra loro. La pelle delle mie braccia si bagnò di nuovo. Rimasi impietrita. Accanto a me il respiro leggero di Anna.
Mi voltai verso il comodino, tolsi l’allarme alla sveglia. Presi il lenzuolo e coprii sia me che Anna fino oltre la testa. Sincronizzai il mio respiro con quello di Anna. Chiusi gli occhi.

Mi chiamo Lila Ria (Ilaria Pamio), sono nata nel 1980 a Busto Arsizio (Va). Lavoro per una compagnia aerea.
Sono stata recensita su Storie – All Write – Leconte Editore. Mie poesie sono apparse su riviste e antologie. Miei racconti sono stati pubblicati su Prospektiva, Youthless Fanzine#31, Foga, Risme. Ho da poco terminato il corso “Storie ai confini della realtà” con Ilaria Gaspari, Scuola Holden.