L’uomo in fondo al pozzo
Ama davvero tenere commencement speeches, i discorsi di fine anno presentati nelle grandi università americane da personaggi che hanno raggiunto una posizione di prestigio.
Kurt Vonnegut parla a braccio quando elargisce consigli su come scrivere e sulla vita in generale, si mangia spesso le parole, tossisce, si comporta come se gli interlocutori, i laureandi, fossero figli suoi, o nipoti, data la differenza d’età, una disinvoltura che ne ha fatto uno degli scrittori americani contemporanei più amati. Ed è sempre molto schietto, non fa giri di parole, “non troverete bugie nei suoi consigli”, assicura Dan Wakefield nell’introduzione del volume edito da Minimum Fax (Quando siete felici, fateci caso) che raccoglie nove di questi discorsi tra i più famosi, pronunciati dallo scrittore in altrettante università tra il 1978 e il 2004. Le sue indicazioni sono semplici e insieme profonde: per quei giovani non prefigura un futuro roseo, né probabili successi, ma indica la strada per evitare di soccombere all’ansia da risultato, perché, parafrasando un consiglio a sua volta elargitogli dal collega scrittore Joseph Heller, “è molto probabile che non diventiate miliardari, ma a chi importa? Voi potrete avere qualcosa che i miliardari non hanno: la coscienza di avere abbastanza”.
Come accade nel discorso che abbiamo selezionato per voi, Vonnegut disegna spesso un itinerario di memorie e ci trascina con lui rievocando immagini e sensazioni dell’adolescenza per riflettere sulla formazione come uomo, e poi scrittore, e sulla vita, non solo della sua, ma di tutti noi. Gli piace in particolare ricordare lo zio Alex, una specie di paradigma vivente dell’ottimismo e della semplicità, condizioni secondo lui imprescindibili per vivere bene. Quello zio che aveva l’abitudine di ricordare a sé stesso, e a suo nipote, Kurt, appunto, quanto la felicità non sia poi così difficile da trovare: bisogna cercarsela attorno, gli diceva, tessere relazioni e, soprattutto, rispettare la prima e unica regola per vivere su questo pianeta, mutuata dalle parole di “quel grandissimo e umanissimo essere umano che era Gesù Cristo: bisogna essere buoni” (da sottolineare che Vonnegut si è sempre dichiarato ateo).
Altruismo, felicità e senso del limite sono i temi che fanno da sfondo agli speeches, e che in definitiva sono anche la rivincita dell’uomo e dell’artista: lui che, nato nel 1922 a Indianapolis, aveva iniziato a scrivere per un giornale scolastico, che sin da ragazzo amava gli studi antropologici, ma fu costretto a studi scientifici per sbarcare il lunario e, alla fine, anche a interrompere il college; che era stato prigioniero in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale, aveva affrontato il suicidio della madre, la morte della sorella (ne adottò i figli, perché il loro padre morì il giorno dopo la madre) e della prima moglie; che avrebbe lottato poi contro la depressione, tentato il suicidio, e sarebbe pure sopravvissuto a un grave incendio pochi anni prima di morire a causa di un incidente domestico.
Il discorso che abbiamo scelto per voi oggi è quello pronunciato alla Severance Hall di Cleveland nel 2004. Qui, Vonnegut passa in rassegna le storie più famose della letteratura di tutti i tempi: Cenerentola, Amleto, La metamorfosi, ecc., illustrandone con un grafico a doppio asse, e uno straordinario umorismo, l’impalcatura:
“c’è, ad esempio, un tipo di storia che vi capiterà di vedere in continuazione. Al pubblico piace da morire, e il copyright non è di nessuno. La storia si intitola “L’uomo in fondo al pozzo”, ma non c’è bisogno che parli veramente di un uomo o di un pozzo. Funziona così: una persona si mette nei guai, ma poi riesce a tirarsene fuori”.

Un altro modello è quello di “Cinderella (Cenerentola): la storia di una bella ragazza esasperata dalle sorelle e da una matrigna crudele, che la lasciano sola, triste e coperta di fuliggine mentre loro vanno al ricevimento del Principe. Ma arriva la fata madrina (linea che sale per gradi) che la trasforma in una meraviglia e la dota di un mezzo di trasporto eccezionale. La fata è però tassativa per quanto riguarda l’ora di rincasare: la mezzanotte del giorno stesso. Alla festa Cenerentola conosce il Principe, lui si innamora di lei ma tutto è rovinato dal coprifuoco, che costringe Cenerentola a scappare prima di trasformarsi nell’umile ragazzina che è. La bella scappa, il Principe non si da pace (la linea sul grafico cade a picco). Poi, scarpetta, piedino, ecc. E la linea si rialza fino all’infinito, è il “tutti vissero felici e contenti” che, come l’infinito, in natura non esiste”.
Al termine di questo discorso, una piece teatrale in piena regola, Vonnegut chiede agli studenti di ricordare quale professore ha reso loro la vita molto più interessante e ricca di possibilità di quanto prima credessero possibile, alludendo al tempo stesso al suo professore di antropologia, l’ultima ruota del carro del dipartimento che, a sua volta, gli aveva fatto questo dono:
“ricordatelo, fatene il nome alla persona affianco a voi… è grazie a lui che siete persone migliori in grado di rimboccarvi le maniche e dedicarvi a una piccola parte di questo pianeta per rimetterla in ordine”.