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literAria

Quando finisci un libro e lo chiudi, dentro c’è una pagina in più. La tua.
(Fabrizio Caramagna)

Cari lettori, mi presento.
Mi chiamo Ilaria e sono un’instancabile lettrice e bevitrice di tè. Ho scoperto i libri da giovanissima, non ero per niente brava nelle materie scientifiche – troppo analitiche –  preferivo di gran lunga fantasticare e disegnare (ah, quante lezioni di matematica trascorse a scarabocchiare!). Solo, però, iniziata l’università ho avuto modo di trasformare un semplice interesse per la lettura in vera passione per la letteratura: Shakespeare, Gaskell, Gosh, Lope de Vega, Mendoza, Saramago, Tabucchi, sembravo una bambina in un negozio di caramelle. Sempre più spesso mi rannicchiavo vicino alla finestra in attesa di uno stile da scoprire, di un personaggio da conoscere e nel quale immedesimarmi; avevo definitivamente deciso che, da lì in poi, i libri sarebbero stati fedeli accompagnatori della mia quotidianità e non mi avrebbero più lasciata.

Ma andiamo con ordine, perché proprio il titolo LiterAria? Il nome scelto non è casuale, al suo interno infatti vi sono racchiuse molteplici chiavi e un po’ di me in ognuna. Prima di tutto, Literariain lingua spagnola significa “letteraria” termine che, come sappiamo, è strettamente relazionato al mondo della narrazione, dunque molto pertinente a ciò che andremo a creare; inoltre, con l’utilizzo del termine in lingua, volevo si intravvedesse una delle mie grandi passioni e specializzazione, la letteratura spagnola; invece Ariaprincipalmente per due ragioni: la prima, più personale, rimanda al mio nome; egocentrismo a parte, ha anche un significato molto più profondo e si trova nel legame che unisce il termine stesso a quello di  libro.
Che cosa rappresenta per voi un libro? Per alcuni magari è solo carta e peso, per altri può essere un motivo disvago e leggerezza. Una leggerezza che molto spesso dà conforto, che medica un po’ l’anima. Una leggerezza che toglie macigni e della quale, a volte, abbiamo bisogno per sentirci meno soli. Si perché lettore, quando leggi, leggi te stesso, e le parole, allora, da ariatrovano concretezza in mille forme:

“Leggere, in fondo, non vuol dire altro che creare un piccolo giardino all’interno della nostra memoria. Ogni bel libro porta qualche elemento, un’aiuola, un viale, una panchina sulla quale riposarsi quando si è stanchi. Anno dopo anno, lettura dopo lettura, il giardino si trasforma in parco e, in questo parco, può capitare di trovarci qualcun altro. […] Leggere non è un dovere, né un amaro calice da bere fino in fondo con la speranza di chissà quali benefici. Leggere vuol dire crearsi un proprio piccolo tesoro personale di ricordi e di emozioni, un tesoro che non sarà uguale a quello di nessun altro e che tuttavia potremmo mettere in comune con altri.”(Susanna Tamaro, Cara Mathilda. Lettere a un’amica, Rizzoli, 2013)

L’intento di questa rubrica, dunque, non è quello di riassumere in maniera didascalica il contenuto di un racconto, bensì vuole essere quello di invitarvi a sedere nel mio salotto immaginario e, sorseggiando una tazza di tè, chiacchierare assieme riguardo racconti, personaggi, sensazioni, noi.

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