Composizione in grigio
Di prima mattina, poco dopo il risveglio, ti affacci alla finestra del bagno sul retro e ti accorgi che l’acqua è completamente sparita. Solo pochi giorni fa era sparsa qua e là sulla riva, un rigurgito di detriti e alghe morte sopra i ciottoli scuri della calle.
Ora è rimasta solo la puzza e i pali piantati nel letto del canale a secco. Sono disposti alla rinfusa contro le pietre geometriche delle sponde. La tua attenzione è attirata da un luccichio sulla superficie di una velma, forse una conchiglia o l’incarto di una caramella. Prendi un binocolo da teatro e osservi meglio. Un bagliore è davvero l’incarto di una caramella, ma la natura inanimata della cosa non ti interessa. Affianco, un granchio che sembra voler disperatamente uscire dal fango e il guscio di un paguro. Il suo corpo estruso per metà è rigido e scuro. L’involucro della lumaca dove si è rintanato è ancora integro e sembra dare dignità alla fine del suo ciclo vitale. Ti riservi di riprendere lo studio più tardi. Al ritorno dal colloquio con la psicologa. Quando i dirimpettai staranno facendo la pennica pomeridiana e non potranno disturbarti. Il letto del canale è una composizione segreta di vita e di rifiuti. Sotto traccia e misteriosa. Soprattutto degna di essere protetta.
Da quando sei qui non hai prestato attenzione agli alti e bassi della marea. Li hai soltanto percepiti ma non veramente registrati. È una situazione insolita per te questa amnesia dello spazio. Per te che sei sempre così attenta ai contorni di tutto ciò che ti ha fatto quella che sei. Ti chiedi se la psicologa abbia ragione, hai bisogno di liberarti del marciume che hai dentro, fare spazio, dimenticare, eliminare. E tu stai eliminando: vita passata, connotazioni, sfumature superflue. Un’anomalia è questo trasferimento, uno scherzo del destino che non ti saresti aspettata. Ti sei sorpresa di te stessa quando hai deciso di denunciare tuo marito. Hai cambiato città e te ne sei andata portandoti via tua figlia. Con l’aiuto delle forze dell’ordine. Con quello della psicologa. E dopo questa mossa a sorpresa qualcosa di grandioso e terribile che avevi dentro si è risvegliato e ha pervaso ogni fibra. Qualcosa di straordinariamente forte e viscerale. L’hai sentito vibrare nella voce mentre raccontavi delle minacce di morte e hai rifiutato il Kleenex per asciugarti le lacrime. L’hai sentito esplodere in mezzo al torace mentre pompava fuori le parole di denuncia alla stazione di polizia con precisa determinazione. E la cosa che ti sorprende è quella sensazione di distacco nella stanza della caserma: non hai provato paura, né dolore o imbarazzo. Rimestare tra i rifiuti della tua vita dimenticabile è stato un sollievo. C’è un’incredibile energia che collabora con te per farti funzionare a pieno ritmo. Ti chiede se sei pronta per qualcosa di nuovo. Una nuova esistenza da abbracciare.
Metti a fuoco meglio. Il guscio si è capovolto in modo strano. Il paguro non è rigido come sembrava, sta emergendo da sotto gli strati melmosi della sua esistenza. Lo osservi con curiosità. Viscido, fangoso, semisolido. Qualunque sia il piacere che riesce a ricavare dal sopravvivere a quell’improba situazione merita tutto il tuo appoggio. Chi glielo fa fare? È per la sopravvivenza della specie? Che abbia un modo tutto suo di vedere le cose? Oppure, con il consumato entusiasmo di un veterano dell’evoluzione, sta cercando di guadagnare terreno fino alla prossima risalita della marea?
Sei rimasta sorpresa dalla casa famiglia. Sei stata fortunata. Poteva andarti molto peggio. Assi nude di legno grezzo sul pavimento, grandi pareti bianche e un albero di natale profumato in ingresso. La donna che ti ha aperto il portone è sorridente e ti prende a braccetto. Poche domande e le sintetizzi la tua vita in cinque minuti, la logica per cui si nascondono le cose più intime alle persone più vicine e poi si parla con una sconosciuta senza alcuna forma di pudore. Col sorriso incollato in faccia cerca di ricordare la tua storia, deve essere una delle ultime pratiche approdate sulla sua scrivania. Vediamo la vostra stanza. Benvenuta tra noi, hai fatto un atterraggio morbido in una delle più belle città d’Italia, con solo due valigie, una figlia appresso, e un corpo assorbito dalla conquista di una nuova vita. La donna ti promette cose che non hai mai conosciuto prima: sostegno, solidarietà, un amore strano di tipo collettivo, e una stanza spaziosa per due con tanto di finestra. Vitto, alloggio, ed eventuali, sono dettagli che restano ai margini della memoria. Come tanto altro, del resto, in questo momento.
È un’altra che ha lasciato il marito, quella della stanza di fronte. Stesso cliché familiare, ma in una regione più a sud. Trascura i convenevoli e parte in quarta a raccontarti di lei. Lui si dimenticava persino di togliersi il cappotto prima di colpirla con forza inusitata. Ne faceva una cosa ordinaria, in un momento qualsiasi, a sorpresa. Lei è carina ma ha il setto nasale marcatamente deviato, e non è mai stata fortunata con i ragazzi. Lasciarlo è stata la soddisfazione più stabile della sua vita. Anche più del lavoro che ha trovato grazie all’aiuto dell’assistente sociale. Fa la commessa in un negozio di calzature, sopporta caviglie appesantite e aperture domenicali. L’accento siciliano ha smussato gli spigoli scimmiottando la cantilena locale. È piacevole da ascoltare.
Eri già venuta a Venezia prima di questo trasferimento. È stato difficile allontanarsi dalla Sardegna, ma è il periodo delle festività di Natale e c’è qualcosa di irresistibile in questa città: la folla di turisti, l’anonimato, l’intreccio di decorazioni lungo le calli, l’acqua. Mentre ti dirigi al colloquio rimpiangi di non averlo lasciato prima, quando la bambina era più piccola. L’importante è averlo fatto,ti dice la psicologa,c’è voluto coraggio.Hai condiviso con lei i pochi bei ricordi di famiglia e di camminate sulle scogliere, di sagre paesane frequentate da vecchi e bambini, di storie finite male, di amore vero, il primo, quello a cui hai lasciato la verginità. Le hai fatto il resoconto della tua nuova vita tentando di scambiare il senso della giornata e di quel paesaggio nuovo e affascinante. Ma non sei stata abbastanza prudente nel tuo racconto. Ne è uscito un suono contorto come di parole nel posto sbagliato. Ci sei rimasta un po’ male. Se n’è accorta. Ti ha visto irrigidirti. Non ti chiederà altro per oggi. Sa come trattare le donne nella tua situazione. Lei è una professionista.
Ci sono momenti in cui ti chiedi se Venezia sia stata una scelta oculata, soprattutto dopo questi colloqui in cui ti muovi nel passato con una disinvoltura di cui non sei ancora all’altezza. La tua isola ti sembra così lontana, toccata da un mare più largo, da costellazioni diverse. Ti dirigi verso casa, in cerca di un segnale che ti guidi a svoltare al ponte giusto con la speranza di non perdere ogni nozione di te e del luogo. E se fosse stato tutto un errore, andare via, dimenticare. Poi, in camera, ti viene in mente che forse la tua energia sta per abbandonarti per la prima volta da quando sei arrivata. Forse è solo una spossatezza transitoria impegnata come sei a registrare gli effetti della transizione. Forse sei soffocata da qualcosa che senti affiorare nel profondo, una tristezza che non riesci a collocare che hai tenuto imprigionata in un angolo di te oltre ogni più rosea previsione. Provi a seppellirla nella conversazione salottiera improvvisata in ingresso con la vicina di camera. Si disperde per una mezz’ora nei programmi di shopping in comune e nelle luci saltellanti dell’albero di Natale.
Fuori nella calle si è prossimi allo zero, fa freddo ma ti sproni a uscire. Hai imparato in fretta gli itinerari dei vaporetti, memorizzi l’unico supermercato esistente in città e una caffetteria a buon prezzo dove ti siedi a bere una cioccolata calda con tua figlia. Prendi il bus per il centro commerciale in terraferma e fai la spesa low cost. Una geografia così diversa da quella cui sei abituata, la scintillante terra granitica, le colline, i vecchi muretti a secco utilizzati come recinti per bestiame. Hai solo i pochi soldi con cui te ne sei andata e tua sorella ti ha imprestato il suo bancomat. L’assistente sociale ti ha quasi garantito che troverai un lavoro. Non aspettarti un granché, non sei così qualificata. Sono anni che fai l’insegnante precaria e stai dietro a tua figlia. Per ora ti accontenti di esplorare il territorio e mettere a fuoco. Venezia ha personalità multiple: profonda, elaborata, antica. Con un doppio disconnesso fatto di chilometri eterogenei di tozzi fabbricati bassi e squadrati in terraferma. C’è tanto da immagazzinare: l’asilo, la piscina, la psicologa, il tratto di strada che ti porta a casa e che percorri ogni giorno. L’odore del piscio di gatto, di effluvi sotterranei, dell’aria intrisa di laguna. Ci sono sensazioni nuove, vecchie provocazioni, un mondo che persiste, uno che guarisce. Una logica oceanica da inserire nel tuo minuscolo archivio mentale, un’accozzaglia d’informazioni. Disconnettersi è sempre una grossa tentazione.
Il prosciugamento dell’acqua del canale è stato programmato dagli ingegneri del comune. Ti colpisce la stranezza di questa aridità artificiale. Giri il binocolo chiedendoti quale effetto possa avere vivere per mesi con una simile desolazione sotto gli occhi. Si vuole una città pulita, ti hanno detto, sana e sicura. Puliscono il vecchio fondale e lo rifanno nuovo. Alzano doverosamente le rive per impedire all’acqua di aggredire. È come preparare una diva per il tappeto rosso di una première. Vogliono fare le cose per bene in questa città. È così diverso dal modo in cui ci si regola da te, non come quando ci sono state quelle piogge terribili che hanno innalzato i torrenti ben oltre la soglia di capienza e la terra ti scivolava via da sotto i piedi anche se non avevi l’impressione di muoverti. Col binocolo indugi ancora un po’ tra le velme con la perizia di un tecnico. Poi lasci perdere.
Passano i giorni, umidi, bui giorni d’inverno. Il cielo sopra Venezia è di un grigio perenne, poi scuro. La pioggia inizia a sgorgare dalle grondaie e dai cornicioni e si riversa nei canali. I temporali sembrano non cessare mai. Le calli sono rivoli puzzolenti. Accetti di prendere un caffè con l’avvocato. Questi uomini sono abituati a incontrare donne come te. Ti trova esotica. Gli piace che sei ancora sposata. Lo eccita farti parlare di tuo marito. Potreste scopare, pensa. Non sapresti nemmeno come fare con un altro uomo. Può darsi anche che non sia lì per il sesso. Gli piace solo alludere alle scopate ma nient’altro, così, tanto per rimpolpare l’esperienza di cultore della materia umana qual è. Per tutto il pomeriggio seguente pensi di trasferirti da tua sorella. Provi un’orribile sensazione di nostalgia. Poi ti passa. Guardi fuori dalla finestra. C’è un po’ di sole, finalmente, è debole. Ti rilassi. Il canale non è più lo stesso dilavato dalla pioggia torrenziale e dal complicato rapporto con gli uomini. Niente si contorce più tra i rifiuti e le poche alghe residue sul fondo, niente vibra nel fango sotto il cielo alto e sgombro. Ti accorgi però che situandosi all’altezza giusta è possibile scorgere la vita. È una città sotterranea miracolata. Oltre paratie, pompe, escavatrici, fondamenta, resta l’ultima dimora di piccoli eroi in via di estinzione.
Vai in biblioteca per raccogliere informazioni sulla fauna della laguna. Leggi che il paguro è totalmente privo di protezione esterna quindi, per evitare di essere facile preda, si nasconde all’interno di conchiglie di lumache marine morte che cambia di volta in volta quando cresce. Qualunque minaccia, è sempre pronto rintanarsi sotto la protezione altrui, spugne, conchiglie, specie diverse con cui stabilisce convenienti rapporti di simbiosi. È una legge di natura: questo particolare tipo di convivenza assicura benefici a tutti. Ma hai guardato bene nelle nuove mappe dell’Atlante della laguna che hai consultato e non hai trovato nessuna conferma della presenza del paguro nella laguna più umanizzata. Vive solo oltre i cordoni dei lidi, nelle zone più profonde che rimangono coperte dall’acqua anche durante le basse maree più accentuate. Deve essere stato portato in centro dalle correnti. Il tuo è un avvistamento eccezionale.
L’agenzia interinale ti ha telefonato per un colloquio. Hai trovato il pediatra per tua figlia e un centro donna vicino alla casa. È definitivo, vivi al nord, non lontano da tua sorella. Ma ti senti svuotata. Ti domandi dove siano finiti l’amore, il dramma, la disperazione che ti hanno fatto così male negli ultimi anni. Vorresti parlarne con la psicologa ma te ne vergogni al punto che finisci per dirle le cose che si aspetta di sentire da te. Inali a fondo cercando di assorbire fino all’ultimo istante tutto il ricordo del tuo passato, di trattenerlo il più a lungo possibile per poterlo catalogare nel nuovo schema. Potrebbe trattarsi dei colpi e degli insulti, oppure del pianto terrorizzato di tua figlia davanti a tanta violenza, ma ciò che ti fa ancora così male è il ricordo dell’odore acre della sua pelle dopo aver fatto l’amore. Senza riuscire a fermare le emozioni che ti sei tenuta arrotolate dentro, ti chiedi cosa stia facendo, come gli va, se il ginocchio gli dà ancora problemi, se gli dispiaceva davvero come ti ha detto con le lacrime agli occhi dopo l’ultima scenata. Se ha mai pensato a te o se tutto finisce qui. Se sa che ogni volta che provi a parlare di lui con la psicologa la tua voce viene fuori interrotta ed elettrica, come dopo un’operazione chirurgica alla gola.
La faccia è smunta e ti senti precocemente invecchiata. Temi ciò che penseranno i titolari della boutique che hanno richiesto una commessa di bella presenza. Hai anche un accenno di zampe di gallina attorno agli occhi e lo sguardo è stanco. Prima ti eri sempre curata del tuo aspetto. Una volta eri molto attraente. A lui piaceva mostrarti agli amici, eri il suo trofeo. Il negozio è in centro storico sulla terraferma. Ti senti inadeguata, l’impiegato dell’agenzia interinale ha messo le mani avanti: la giovinezza è il prerequisito per qualunque possibilità, i datori di lavoro non prendono impegni a lungo termine e non hanno molta empatia per situazioni come la tua. Ti sentivi più giovane quando eri a casa, nella tua città natale, dove le donne della tua età si riunivano al parco per far giocare i bambini e dove, nei lunghi pomeriggi d’estate al mare, tentavano con leggerezza di risolvere i problemi esistenziali mentre affondavano i piedi nella sabbia. Ti sentivi giovane a casa. Avresti voluto un altro bambino. Ma lui non voleva. Diceva che non ve lo potevate permettere. Mentre tu immaginavi un paio di manine attaccate al tuo collo, un’altra femminuccia con cui andare in visita dai tuoi per le feste comandate.
Hai ottenuto il lavoro. Turni di otto ore e aperture festive con solo mezza giornata di riposo finché non rientra la commessa in maternità. Hai trentadue anni e non vedi futuro dietro le vetrine di un negozio di intimo, ma per ora va bene così. Sarai costretta a essere impegnata e ordinata. Non ti resterà tempo per pensare e piangerti addosso. E poi, per il momento, non hai tempo di cercare nient’altro, ti servono i soldi. Torni a casa. La tua vicina di camera sarebbe contenta per te, ma è ancora al lavoro. Festeggi da sola in camera con una mini bottiglia di champagne comprata nel negozio dietro l’angolo.
In questi giorni la luna sorge nel pomeriggio. Dal solito punto di vista panoramico il canale assume un profilo misterioso via via appiattito dall’arrivo graduale dell’oscurità, ridotto a una specie di schermo al plasma dove riesci a vedere il tuo passato, non hai mai smesso di vederlo. Fai fatica a misurare la distruzione del fondale a causa degli scavi degli ultimi giorni ma ne misuri la speranza: nonostante sia quasi buio, cerchi intuitivamente di percepire la vita che scava senza sosta nel fango semi congelato ignara di tutto, a dispetto di tutto. La vita che trascende fatti e realtà. Provi un misto di soggezione e meraviglia per quelle piccole creature invertebrate. Pensi che se esiste una forza capace di andare avanti al di là di ogni logica previsione, forse può anche tenere insieme il mondo. Nessun dubbio. Nessuna eco di tentennamento. Questo è il patto della sopravvivenza.
Racconto pubblicato su Toilet; selezione Carie letterarie.
Immagine: Maria de Fanis
Legge sempre, insegna e traduce l’inglese. Nella sua precedente vita ha pubblicato saggi in ambito accademico tra cui Geografie letterarie (Meltemi). Alcuni dei suoi racconti sono contenuti in raccolte e riviste nazionali.