Card boy
Era di fronte allo specchio e osservava la poltiglia colorata che le ricopriva la testa: aveva scelto il lilla. Era difficile da ottenere su quei suoi spaghetti neri. Le bruciava la cute e aveva la forte tentazione di grattarsi; doveva resistere, ancora 5 minuti, ce la poteva fare. Accese una sigaretta e aprì una birra, era calda e la sputò nel lavandino, l’unico nella cucina con bagno e letto dove viveva ormai da mesi.
Abitare in quel buco aveva anche i suoi vantaggi: poteva afferrare quasi tutto restando praticamente seduta sul materasso, anche se la cosa non faceva che ingrassare la sua pigrizia.
Lara preferiva così: zero coinquilini, le bastavano già i suoi sbalzi di umore a farle compagnia, e le grida dei padroni del ristorante indiano a piano terra. Poteva aprire la sua finestra solo il martedì, quando il locale era chiuso, o l’odore di curry le avrebbe intriso per sempre i vestiti. Ci doveva lavorare con quella roba addosso, e magari riportare tutto in sartoria senza che nessuno si accorgesse di quel piccolo prestito.
Il primo abito che rubò fu un completo da aviatore, le stava un po’ grande, ma era comodo per correre. Le parrucche invece gliele prestava il suo capo, Cindy. Ne possedeva a decine, alcune erano di capelli veri e a Lara la questione non piaceva per niente, ma quel gioco le fruttava abbastanza soldi e cercava di non farsi troppe domande.
I minuti erano passati: si sciacquò la testa, i residui di colore correvano giù come tentacoli nello scarico. La tinta aveva preso bene, si pettinò e sistemò la frangetta: sembrava uno di quei pulcini color pastello che ti regalano a Pasqua, era soddisfatta e sorrise alle enormi tette disegnate sulla card che aveva attaccato allo specchio, erano in saldo: “chiamaci!”, pubblicizzava il testo.
Chissà che faccia avrebbe fatto Gianni vedendola in quel momento. Scuoteva sempre la testa suo padre quando si trattava di lei.
Si incontravano all’alba sulla soglia di casa: Gianni entrava in servizio, Lara andava a dormire. Lui, con la divisa stirata e gli occhi stanchi, lei con le Converse bucate e il rossetto ancora immacolato. Lo stesso ritmo per un’estate intera, dopo la maturità, fino a che Gianni non cambiò la serratura dell’appartamento e Lara decise di partire per Londra con un biglietto di sola andata.
Doveva sbrigarsi o non sarebbe arrivata in tempo a lavoro: guardò l’orsetto spelacchiato che teneva sul letto, l’unico cimelio della sua vecchia camera. Lo prese, lo annusò: sapeva di fritto e sigarette, chiuse le palpebre, lo rimise al suo posto e uscì.
La metro scoppiava a quell’ora: manager in cravatta e mocassini sformati, o soprabito nero e tacchi a spillo, su caviglie gonfie, giovani donne cariche di spesa con vistose extension e ciglia finte, uomini di mezza età con la faccia paonazza per il troppo bere, bambini che mangiavano biscotti con la giacca della scuola macchiata di residui di cibo, adolescenti fusi in baci pieni di saliva, simili a dei piccoli insetti in calore. E Lara, con quella tuta di jeans troppo larga. Aveva arrotolato maniche e pantaloni, per non annegarci dentro. Trovò per miracolo una poltroncina libera e vi si lasciò cadere sopra come un mucchio di panni sporchi. Giocava col ciondolo di ambra che aveva al collo: era l’unico oggetto di valore che possedeva, glielo aveva regalato sua madre. Poteva ancora avvertirne il sapore: torta di mele; lei la preparava spesso quando Lara era piccola. Poi si era rotto il forno e Patrizia aveva iniziato a sentirsi sempre stanca, non cucinava più, indossava i suoi pigiami floreali tutto il giorno e cominciò anche a non alzarsi dal letto la mattina: Lara le vedeva solo il busto, intuiva la forma delle sue gambe sotto le coperte, con quella tv sempre accesa a illuminarle il viso secco. Provò a fare la torta di mele con suo padre, nel forno nuovo, ma sbagliarono le dosi e non lievitò. Non c’era più nulla da fare.
Scese a Soho, l’appartamento di Cindy era vicino alla fermata della metro: comoda per lei e i clienti. Quella creatura non lasciava niente al caso, dal tono di ombretto, alla marca di schiuma da barba che doveva usare quotidianamente per radersi le gambe, e il viso.
Era intransigente sul lavoro e aveva rimproverato spesso Lara per la sua tendenza al ritardo cronico. Il loro primo incontro era stato per il colloquio: Cindy aveva ispezionato il corpo della ragazza come un medico esperto, e le aveva fatto domande sulla sua salute mentale, del tipo “Prendi psicofarmaci, alcool, droghe? Qui non portarci nulla o ti ammazzo”, ma sapeva anche motivare a modo suo.
— Rischi l’arresto, ma io ti pago bene e sono sicura che non ti farai fregare.
Il primo mese la fece affiancare da uno scozzese che sembrava la brutta copia di Kurt Cobain. Le spiegò quali erano gli orari migliori per piazzare le card, le cabine più frequentate e cosa fare se vedeva uno sbirro, mentre sistemava i volantini di Cindy.
— Metti sempre scarpe comode: devi essere pronta a scappare come avessi le fiamme che ti mangiano il culo. Ok bella?
Diceva bella nel suo italiano grottesco, non era simpatico. Si erano anche fatti una birra e qualche riga di coca insieme una sera, Ewan aveva provato a baciarla, ma Lara gli aveva spiegato che preferiva le bionde.
Cindy le aveva appena consegnato le card nuove: non più due enormi tette a sconto da chiamare, ma un gran culo stilizzato, in filigrana oro, e cifre numeriche, su cartoncino tocco morbido di velluto nero.
— Mi sono costate parecchio, le disse lisciandosi il tubino di lurex. — Quindi vola mia piccola ape!
La prima volta che Lara era entrata in una delle cabine rosse, era rimasta imbambolata per qualche minuto a guardare le pubblicità delle colleghe di Cindy. Urlavano in bold con promesse di equipaggiamenti completi, relax più orgasmo dopo una stressante giornata di lavoro, donne con la frusta, donne asiatiche, stivali al polpaccio per affascinare e tacchi alti per colpire. Numeri di telefono di studentesse indisciplinate o dominatrici pronte a sottomettere lo schiavo di turno.
Lara non era molto diversa da quelle donne: tutte facevano ciò che potevano per galleggiare. Rischiavano di crepare come gatti randagi, ogni giorno, ma dentro le loro case, con le tendine colorate alle finestre, avevano l’illusione di essere in un luogo sicuro.
— Ricorda: fuori di qui non esisto per loro. Io sono il lupo e i miei Cappuccetto Rosso vengono direttamente nella tana. è chiaro?
Lara non capiva se lo ripetesse a lei o a se stessa. Lo disse anche la mattina di due settimane prima, quando la accolse nel suo appartamento con un occhio pesto e le labbra schiantate.
— Oggi niente consegne Lara, ho voglia di una giornata tra donne. Siediti qui che ti insegno a truccarti, sembri malata con questo visetto bianco.
Da dove veniva Cindy? Lara non glielo aveva mai chiesto; probabilmente lei avrebbe alzato le spalle di statua e poi sbuffato il fumo delle sue cicche al mentolo in faccia, “dai tuoi sogni, stronza!”. Cosa faceva prima? Con chi giocava da bambina?
Cindy l’aveva trasformata in una bambola, con boccoli e zigomi color confetto. Poi le aveva preparato un piatto di spaghetti col ketchup. Si abbracciarono in silenzio per salutarsi e Lara vide che Cindy aveva gli occhi lucidi, tirò su col naso.
— Ora vai. Ci vediamo domani, le disse mentre la spingeva fuori dalla porta.
Era l’inizio di un nuovo giorno di lavoro per Lara, i volantini erano nello zaino, le scarpe ben allacciate e la strada libera. Entrò nella prima cabina che trovò, voleva sbrigarsi e arrivare prima in teatro per rimettere a posto gli abiti rubati ed essere in tempo per le prove dello spettacolo. Stavano mettendo in scena un’opera ispirata a Ziggy Stardust, e Lara aveva imparato a memoria ogni pezzo di quell’album. Le piaceva tanto quell’uomo venuto dallo spazio, pronto a far ballare tutti con la sua musica. Quando era sul palco e recitava le sue battute, con la faccia truccata di glitter e il boa di struzzo fluo, era nella sua pelle.
Mise le card di Cindy sopra a quelle di una mistress dai tratti orientali: erano le dure leggi di mercato, niente di personale. Stava per uscire dalla cabina e il resto dei volantini le cadde per terra, si abbassò per raccoglierli e si rialzò di scatto per proseguire. Un fischio la costrinse a inchiodare, un poliziotto aveva visto tutto dal vetro di un pub lì vicino.
— Fermati subito, — disse.
Aveva una lunga cicatrice sulla guancia e occhi da squalo, neri e velati.
— Cazzo, — sussurrò Lara.
— Vieni qui e mostrami quello che raccoglievi, — aggiunse avvicinandosi alla ragazza.
Lo sbirro aveva denti perfetti e un sorriso che stonava con quel suo sguardo da morto.
Lara restò immobile e gli consegno le card.
— Ti sei messa proprio nei guai, — disse mentre leggeva i volantini.
— Sì agente, ma le giuro è la prima volta che…
— Sta zitta, se ti comporti bene potrei anche decidere di buttare via questa merda e tornare a bere la mia pinta di birra.
Lara aveva gli occhi piantati sul marciapiede.
— Sali in macchina, — disse l’uomo prendendola per una spalla.
Lara iniziò a camminare verso l’auto come muovesse i suoi primi passi. Il poliziotto le aprì la portiera, facendole segno di entrare. Prima di chiudere lo sportello si guardò in giro. Lei si sentiva così minuscola su quel sedile. Lui entrò e si tolse il cappello.
— Se sarai carina con me non ti arresterò. Puoi fidarti, — disse sporgendosi in avanti.
Lara poteva fiutare il suo alito alcolico.
— Non avere paura, non ti chiederò di fare niente di male, ormai sei una donna, no?
Si era slacciato cintura e pantaloni, poi le prese la mano, e gliela spinse nelle mutande. Ce l’aveva già duro.
L’uomo ansimava e Lara notò che aveva delle macchie di saliva secca ai lati della bocca, ebbe un conato di vomito; lei muoveva la mano su e giù, come fosse quella di un’altra persona. Poi scese fino ai testicoli e fissò l’uomo dritto negli occhi, per la prima volta; fu come se qualcuno le avesse gettato in faccia un secchio di acqua gelata. Riemerse dalla sua apnea e strinse la carne dell’uomo con tutta l’energia che aveva. Lui emise un grido di bestia ferita, Lara aprì lo sportello e iniziò a correre fino a che non ebbe più fiato.
Si era allontanata parecchio dalla fermata della metro e prese il primo taxi che incrociò sulla strada. Per fortuna Cindy l’aveva pagata e aveva dietro un po’ di contanti. Le sarebbe costato diverse sterline quel viaggio di ritorno verso Brick Lane. Scese dall’auto, era nel suo quartiere. Entrò in un pub, era pieno di gente e bicchieri vuoti; tanti ubriachi come liceali alla festa del diploma. Nessuno si accorse di lei, solo il carlino al seguito di un’anziana signora con i capelli azzurrini e la pelliccia leopardata, che sorseggiava il suo Martini con lo sguardo perso chissà dove nei meandri della storia. O magari stava solo cercando di ricordare se aveva preso o no le sue pillole per la pressione. Il cane le diede un’annusata mentre gli passava davanti ed emise un guaito. I cani ti vogliono bene anche se li prendi a bastonate.
Lara andò in bagno, usò un’enorme quantità di sapone e mise le mani sotto l’acqua, continuando a sfregare finché non ci fu più schiuma. Aveva la pelle dei polpastrelli avvizzita. Si osservò allo specchio: capelli sudati e frangetta ammazzettata sulla fronte; cercò di non giudicare quello che vedeva. E tirò fuori il rossetto color pesca che le aveva regalato Cindy, se lo mise con cura, anche se la faceva sembrare una Barbie difettosa.
Bevve due Gin Tonic come fossero camomilla e uscì. Controllò di avere monete sufficienti in tasca e cercò una cabina.
Da quanto non chiamava suo padre? Era la terza volta che gli telefonava dal suo arrivo a Londra, ma le prime due aveva riattaccato quando lui aveva risposto.
Sapeva che lei era viva e dove si trovava perché gli aveva spedito una cartolina di auguri per Natale. Lara teneva molto a compleanni e ricorrenze, le davano la misura del tempo che passava, e di quanto ne buttava via.
— Pronto, — disse la ragazza come fosse una domanda.
— Lara, rispose una voce maschile. — Lara, ripeteva.
— Babbo, torno a casa, puoi rifarmi le chiavi?
Lei lo disse così velocemente che restò a corto di fiato.
— Basta che torni, — disse l’uomo con la voce spezzata. — Ora devo andare, ho la minestra sul fuoco, e riattaccò.
Lara restò con la cornetta appoggiata all’orecchio ancora per qualche secondo, poi mise giù.
Era stato molto più semplice di quanto credeva, era quasi delusa di non aver dovuto dare spiegazioni; suo padre adesso non le sembrava tanto diverso da quei mostri secondari a cui sparano nei primi minuti di un film; la loro unica colpa è quella di essere brutti, ma agiscono solo in nome della sopravvivenza.
Lara rientrò nel suo buco e mangiò l’ultima scatoletta di tonno della dispensa. Fece la valigia e si sdraiò sul letto, le dispiaceva per Cindy. Con chi avrebbe giocato ora? Era stremata e si addormentò quasi subito.
Suo padre venne a prenderla all’aeroporto. Appena la vide si sistemò la giacca e si mise sull’attenti. Sorrideva. Non si abbracciarono.
— Hai fame? — le disse Gianni.
— Sì, — rispose Lara mentre afferrava il pacchetto di carta che le porgeva il padre: era un pezzo di torta di mele.
— Portami da mamma, — disse.
L’uomo annuì, era dimagrito parecchio dall’ultima volta che si erano visti.
Lara non faceva visita a sua madre dal giorno del funerale; voleva lasciarle qualcosa di suo. Tirò fuori dallo zaino l’orso ammaccato e se lo mise sulle gambe. Emise un sospiro e assaggiò un pezzo di dolce.
Suo padre accese l’autoradio: le notizie dell’ultima ora, spot di ristoranti di zona, creme che promettevano giovinezza eterna, sagre di paese per scacciare via la noia. Quei decibel violavano il silenzio elettrico che separava i due corpi nell’abitacolo. Poi Gianni tese una mano verso Lara e lei gliela strinse forte nella sua.
Alla fine della pubblicità iniziò un pezzo di Lucio Dalla: Futura. Lara alzò il volume, guardò suo padre e ricambiò il suo sorriso.
“Chissà, chissà domani
su che cosa metteremo le mani
se si potrà contare ancora le onde del mare
e alzare la testa
non esser così seria, rimani”

Nel 2012 ha creato il blog Ziggy’s Cafè, dove pubblica racconti, interviste e cura rubriche di scrittura e musica.
Ha pubblicato la raccolta di racconti Gente di un certo (dis)livello. Manuale di sopravvivenza nella giungla metropolitana (Marco del Bucchia Editore, 2013).
Ha fondato con Beatrice Galluzzi e Alice Scuderi il blog Donne Difettose.
Nel dicembre 2016 è uscito il suo primo romanzo Andata e ritorno (Edizioni Il Foglio Letterario).
Insieme a Beatrice Galluzzi e Alice Scuderi, ha curato l’antologia di racconti noir The dark side of the woman (Edizioni Il Foglio, luglio 2018).
Nel 2019 è uscito il suo ultimo romanzo La forma muta(Augh Edizioni).
I suoi racconti sono pubblicati su antologie e riviste (Carie, Il Foglio Letterario, Carmignani Editrice, L’irrequieto, Crack Rivista, Cadillac Magazine, Malgrado le mosche).